Soyalism – Un documentario di Stefano Liberti ed Enrico Parenti
Scopriamo i migliori documentari presenti sulle piattaforme digitali disponibili in Italia.
Facciamo un giro su RAIPLAY! Anche se l’interfaccia della piattaforma nazionale lascia parecchio a desiderare, riserva comunque delle sorprese per quanto riguarda i suoi contenuti audiovisivi.
Un viaggio attraverso 4 continenti lungo tutta la filiera della carne di maiale e della soia, il nuovo oro verde. Dall’allevamento fino allo smaltimento dei reflui sino all’ hand-grabbing.
Un documentario che apre gli occhi sul nostro rapporto con la natura, anche se causa molta angoscia nello spettatore, alla fine lo lascia con la voglia di fare la sua parte per cambiare le cose.
QUANTA CARNE?
Un dato di partenza: quanta carne mangiamo?
Ad oggi il consumo di carne implica l’uccisione di circa 70 miliardi di animali all’anno. Nel 1960 questa cifraera inferiore ai 10 miliardi annui.
Di questo dato odierno sappiamo che il consumo complessivo di carne in Cina è doppio di quello statunitense, sebbene un cinese mangi in media la metà della carne consumata da un americano.La domanda globale dei prodotti d’origine animale sta aumentando, soprattutto nei paesi in via di sviluppo, grazie alla progressiva urbanizzazione, alla crescita demografica e all’aumento dei redditi della popolazione.
Cosa accadrebbe se i cinesi (parliamo di una popolazione di oltre 1.4 miliardi di persone) adottassero in pieno lo stile di vita americano? E se li seguissero altri paesi in forte sviluppo come Pakistan, India, Nigeria e Bangladesh?Attualmente possiamo rispondere che, se il trend di consumo di carne restasse invariato, nel 2050 verrebbero abbattuti 120 miliardi di animali all’anno.
Ma la diffusione questo modello, cosa produce sul nostro pianeta?
I cinesi vogliono mangiare all’occidentale, soprattutto aumentando sempre di più la quantità di carne nella propria dieta.
Questo cambiamento di regime alimentare è iniziato nel 2002, quando il PIL nazionale è salito; oggi un cinese in media consuma circa 2900 calorie al giorno, circa 1000 calorie in meno di un americano.
Questo mutamento è stato tanto veloce che oggigiorno la Cina ad oggila Cina detiene il controllo di quasi il 50% dell’allevamento mondiale di maiale.
Questo cambio di rotta non era possibile in patria, materialmente non c’è spazio sufficiente, perciò la Cina si è spostata laddove il mercato di carne era più forte: gli Stati Uniti.
Lì ha potuto non solo trovare gli spazi per gli allevamenti, ma anche adottare facilmente il modello dell’allevamento intensivo.
La Cina ha dunque bisogno gli Stati Uniti per soddisfare la richiesta sempre più forte di carne, ma non solo, ha bisogno anche dell’America Centrale e dell’Africa perché, per supportare un allevamento intensivo, occorrono molte risorse, in primis la soia.
US, NORTH CAROLINA - Allevamenti intensivi… puzza, puzza, puzza!
Il North Carolina è il secondo produttore al mondo di maiali dopo l’Ohio ed è qui che i cinesi sono arrivati acquistando la catena Smithfield, che possedeva il 30% del mercato del maiale, ora di proprietà cinese.
Gli ex-maiali della Smithfield risiedono nell’area costiera del North Carolina, il cui ecosistema è particolarmentedelicato a causa della grande quantità di ruscelli e fiumi, e fatica a resisteread un modello di allevamento che prevede l’abbattimento di 600 maiali l’ora per un utile netto annuale di 200 milioni di dollari.
Le povere comunità rurali hanno facilmente accettato la messa in funzione a pieno regime degli allevamenti con promesse di lavoro – chiaro si parla di lavoro in un mattatoio, probabilmente non il lavoro dei sogni , ma comunque un lavoro.Il vero prezzo da pagare sta nello smaltimento dei rifiuti organici (feci/liquami prodotti dagli animali): in una piccola azienda agricola il residuo organico viene usato come fertilizzante per i campi limitrofi, l’uso del quale contribuisce accortamente a rendere il ciclo agricolo più efficiente.
Tuttavia è diverso quando gli animali sono così tanti, nonché parte di un allevamento intensivo.I reflui sono tantissimi: feci e urina, ma anche ammoniaca e farmaci poiché mantenere lo stato di salute, nonché l’igiene, in un ambiente in cui i maiali sono così tanti e ammassati fra loro prevede un costante e massiccio uso di farmaci antibiotici sul bestiame e di igienizzanti.
Tutti questi liquami vengono spruzzati nelle zone limitrofe agli stabilimenti e la loro puzza, sommato a tutto quello che vi immaginate, si propaga e raggiunge anche le zone abitate circostanti.
Immaginate la gioia del vicinato in North Carolina! Per non parlare dell’inquinamento dell’acqua derivato dagli stabilimenti iper-tecnologizzati di cui stiamo parlando e tipici del modello di integrazione verticale alla Smithfield. Joao Pedro Stedile, leader del Movimento Sem Terra viene intervistato durante il documentario e dice: “Questo tipo di allevamenti intensivi occupano un terzo di tutte le terre arabili; se i cinesi mangiassero davvero come gli americani, dove si potrebbe trovare lo spazio per coltivare la soia e i cereali necessari per il sostentamento del bestiame? Sul nostro pianeta non ci sono più terre libere, a meno che non si vadano ad intaccare le riserve naturali come l’Amazzonia”.
Per arrivare al dunque del titolo scelto, ci si deve quindi spostare più a sud, in Brasile, il maggior produttore ed esportatore di soia.
BRASILE - Le monoculture di Soia
In 26 anni la produzione di soia in Brasile è aumentata del 230% e oggi le mono-piantagioni di soia hanno completamente modificato l’aspetto paesaggistico rurale brasiliano, che prima era caratterizzato da una produzione agricola locale e da boschi, abbattuti per fare spazio alla soia.
La soia non è originaria del Brasile, è stata importata; per di più, diverse specie della pianta sono state create ad hoc attraverso la ricerca genetica e si adattano perfettamente all’ambiente.La soia è diventata un prodotto standardizzato, uguale in tutto il mondo e facile da produrre in larga scala.
Inoltre, ha un mercato controllato da sole 5 aziende in tutto il mondo che è stato in grado di rendere la soia la principale materia prima per l’alimentazione degli animali: dai polli alle mucche fino ai porci. E come sottolinea sempre Joao Pedro Stedile “diventa di conseguenza il nutrimento principale anche per gli uomini”.
Questo è l’Agribusiness e fa sembrare che gli animali possano mangiare solo soia per nutrirsi.
Non solo il Brasile è il primo produttore di soia, ma anche il primo consumatore al mondo di pesticidi; ci si aggira attorno ai 20 milioni di kg di prodotti agro-chimici, il 20% del consumo mondiale.Se sei, o se eri, un piccolo produttore, questo comporta che tutti gli insetti presenti nell’area capiscono presto dove è meglio andare ad abbuffarsi.E questo è diventato l’impero di soyalism.
AFRICA, MONZAMBICO
Il programma proSAVANA è un progetto che prevede che 1/3 dei terreni nazionali del Mozambico, 6 milioni di ettari, siano concessi alle aziende dell’Agribusiness brasiliana.
Il Mozambico sta investendo strategicamente per sviluppare l’economia agricola nel paese e questo ha portato il Brasile a farsi avanti con una loro proposta di insediamento agricolo per la coltivazione di soia, cotone e mais per il mercato cinese. Tuttavia, i movimenti locali hanno chiarito la loro posizione, sostenendo fin da subito che il proSAVANA non è un programma a favore dei contadini.
Fortunatamente il proSAVANA è stato sospeso, una delle più grandi conquiste della società civili contro l’accaparramento di terre in Africa.
Perché vedere Soyalism
Come osserva Mindi Schneider, professoressa di politiche agrarie cinesi presso l’ISS “Sempre meno aziende decidono cosa mangiamo, come lo mangiamo, dove lo compriamo, e decidono che la salute e l’ambiente non sono importanti. Non sono considerate nella definizione di cibo di qualità e nel prezzo e poche persone controllano il processo.”
Il documentario di Liberti e Parenti è capace di mostrare tutti passaggi del decision-making che fa parte della filiera della carne e lo fa da più angolature: dal punto di vista ambientale e sociale, non tralasciando il punto di vista delle comunità che vivono sulla propria pelle un modello di sviluppo intensivo; ma anche indagando il sistema dell’Agribusiness e l’impatto che questo sistema può avere sul nostro ecosistema, nonché l’incidenza sui cambiamenti climatici.
È un documentario ricco di interviste a ricercatori, attivisti, produttori e gli autori hanno saputo comunicare ragionamenti e processi complessi grazie ad un uso sapiente dell’animazione grafica, analizzando la filiera di produzione industriale della carne di maiale – dall’allevamento allo smaltimento dei reflui alle monocolture di soia per i mangimi.
Per vedere il documentario: basta cliccare qui.