Desde Allà - Il Leone viene da lì
Dal tappeto rosso della 72. Mostra del Cinema al Venezuela, con un Leone d'Oro fra le mani. Torna a casa così, con una vittoria inaspettata nel taschino, il cast di Desde Allà (From afar), lasciando stupiti quanti, in molti, attendevano il grande nome - Sokurov -, o uno spaccato di società e politica. Buona parte, dal pubblico, propendeva per un messaggio forte all'Occidente e al Medio Oriente di oggi, che arginasse drammi e complessità odierne. E dunque il voto a pronostico, d'istinto, inneggiava a Francofonia e The Rabin.Invece no, Alfonso Cuaròn e gli altri a quanto pare vanno all'origine di dissidi e debolezze, premiando un film che privilegia il contenuto sulla forma, la relazione sulle dinamiche. A naso, ce lo saremmo potuto un poco immaginare. Con un Presidente di sangue latino sperimentatore di limiti, da sempre imbrigliato nelle pieghe dell'animo umano e nei suoi paradossi; con un Emmanuel Carrère fra i giurati, voce narrante di scherzi e capricci della mente.Vince, di conseguenza, un film che esplora le mappe intricate e faticose della relazione, in modo cristallino, senza scavi introspettivi. Negli eccessi dei fatti rivela rischi e conseguenze della fame d'amore. Tutto avvolto da una luminosità diffusa che confonde vittime e carnefici. Desde Allà è un film che parla di vuoto. Un vuoto lasciato dalla mancanza di affetto, che soffoca la voce dei protagonisti. Per buona parte del film domina un silenzio denso di significato, mai pesante per lo spettatore, assottigliato dalla naturalezza di un'apparente quotidianità che però scricchiola. Seppure la prima parte proceda lenta, attrae come sirena muovendosi a piccoli passi, leggeri fino a inghiottire. Si arriva, capitolando sugli eventi che sfuggono al controllo, travolti da un unico desiderio: possedere la felicità dell'altro.Il dramma è stemperato dall'energia e dalla vitalità della città e della gente di Caracas. Questo è l'aspetto che più sancisce l'originalità dell'opera prima di Lorenzo Vigas. In tre parole questo film è un lungo sentimento d'amore inconfessato, famelico e folle, osservato al microscopio, al di qua di un vetro che salvaguarda, indaga e commenta. La solitudine che porta a un sofferto quanto taciuto abbandono non è espressionistica e travolgente, bensì misurata e sottile. Quasi a dimostrate quanto la vita possa facilmente diventare banale e contemporaneamente dominata da ossessioni sotto controllo, sotto gli occhi indisturbati del resto del mondo.Fotografia, montaggio, post-produzione, tutto è in linea con la semplicità e la limpidezza di un linguaggio primario, il cui coinvolgimento è costantemente allontanato da un distacco calcolatore o violento visibile nei due protagonisti - gli attori Alfredo Castro e il giovane Luis Silva, ndr. La lontananza siderale e algida di chi affronta la vita con la paura di mostrarsi debole, sconfitto e bisognoso, congelando i sentimenti.Vince, pertanto, un avviso accorato della giuria: non dare mai per scontato ciò che appare ininfluente, solo perchè raggelato in superficie.Un'ottima e accurata descrizione della trama è quella di Franesco Boille, non perdetevela.Tutti i vincitori (molto sapore latino) - meritatissimi - della Mostre li trovate, invece, qui.Chiara Bortolini } else {